Intro. Il dubbio di Pericle e Protagora
Già Plutarco, in Vite parallele, racconta di un incidente accaduto nel corso di una pratica sportiva, e in particolare di un uomo ucciso da un giavellotto maldestramente scagliato da un atleta di pentatlon. Così Pericle dovette a lungo interrogarsi assieme al filosofo Protagora per stabilire chi considerare responsabile di quella morte: il giavellotto, colui che lo aveva lanciato o i giudici di gara?
Quand’è che oggi le lesioni provocate da un atto di gioco si ritengono consentite e quando invece comportano una responsabilità civile e il connesso obbligo di risarcimento del danno? Dunque, quand’è che una condotta che oggi si renda lesiva nel corso di una attività sportiva possa ritenersi rilevante sul piano del diritto civile?
Per rispondere al quesito occorre anzitutto chiarire il concetto di rischio sportivo, il quale è concettualmente connesso al secondo elemento, ossia il significato e la valenza di regola tecnica, per giungere infine al criterio di configurabilità della responsabilità dello sportivo, ossia il collegamento funzionale tra giuoco ed evento lesivo.
Il rischio sportivo
Primo elemento è il rischio sportivo ed in particolare la sua accettazione da parte dell'atleta, il quale decide di intraprendere l'esercizio di una disciplina sportiva consapevole delle possibili conseguenze lesive che rientrano nell'alea normale correlata all'attività sportiva praticata.
Il rischio consentito è il precipitato di una valutazione effettuata dalla normativa secondaria, ossia dalle regole tecniche, le quali individuano appunto il limite della ragionevole componente di rischio di cui ciascun praticante deve avere piena consapevolezza.
Quindi, piena consapevolezza dei rischi associati ad esempio al rugby, alla scherma e al nuoto, e consapevolezza rispetto alle differenze esistenti sul piano del rischio tra queste discipline.
Le regole tecniche
Si diceva delle regole tecniche, che possono essere di gioco e di gara ma anche di organizzazione. Tali regole sono emanate dalle Federazioni sportive e destinate a regolamentare lo svolgimento delle singole discipline e la condotta sportiva e tecnica che l’atleta deve seguire.
Lo scopo della regola tecnica non è soltanto quello di garantire l’equilibrio della gara ma anche di prevenire potenziali eventi dannosi che possano interessare sia l’integrità degli atleti sia dei terzi interessati all’evento sportivo.
La responsabilità civile dello sportivo
Dottrina e giurisprudenza enucleano le premesse teoriche della responsabilità dello sportivo:
1) anzitutto, la lesione dell'integrità fisica di un giocatore ad opera di un altro è un’eventualità contemplata nello sport;
2) e inoltre, ogni sport si caratterizza per le sue regole e per il contesto nel quale si svolge.
Pertanto, il comportamento dell’agente sportivo deve rientrare nell’ambito di un collegamento funzionale tra gioco ed evento lesivo, ed un tale collegamento non sussiste invece se:
1) l’atto che ha provocato la lesione è stato compiuto con lo scopo di ledere;
2) oppure, l’atto che ha provocato la lesione è stato compiuto non con lo scopo di ledere ma con una violenza o con una irruenza incompatibile con le caratteristiche concrete del gioco.
Ecco allora che un pugno ha conseguenze ben diverse se posto in essere nel corso di una partita di pallavolo oppure durante un match di pugilato.
Riassumendo, se l'atto è posto in essere allo scopo di provocare lesioni, lo sportivo andrà incontro a responsabilità poiché la circostanza che siano provocate lesioni ad altro giocatore non rientra fra le caratteristiche del gioco.
Come anche è responsabile il giocatore che, pur non volendo provocare lesioni, faccia tuttavia ricorso ad una violenza di tipo tale da non essere compatibile con le caratteristiche proprie del giuoco nel contesto nel quale esso si svolge.
Dunque, gli unici parametri valutativi di riferimento sono:
i) le connotazioni proprie del gioco, quindi le particolarità della specifica disciplina sportiva nell’ambito della quale si verifica l’evento lesivo;
ii) come anche, il contesto ambientale nel quale il gioco concretamente si svolge, quindi discriminando la pratica amatoriale da quella agonistica, oppure differenziando la fase dell’allenamento da quella relativa alla gara e così via.
Estratti giurisprudenziali
Tribunale Brescia sez. I, 03/09/2020, n.1699
«occorre chiedersi se l'incidente sia avvenuto in contesto amatoriale o agonistico. Nel primo caso la responsabilita' per danni verra' valutata secondo le regole ordinarie dell'art. 2043 c.c, l'imprudenza o imperizia del danneggiante saranno fatali e dovra' risarcire. Nel secondo caso l'interpretazione in giurisprudenza della condotta in ambito sportivo e' orientata anche al rapporto con i regolamenti delle singole federazioni. Sul punto i concetti cardine sono il rispetto delle c.d. regole tecniche e il rischio sportivo. Dunque rispettando le regole di quello sport l'atleta non sara' punibile essendo la condotta coerente con il grado normale di rischio insito in una specifica disciplina sportiva. Ma anche che non sempre la violazione delle regole comporta la punibilita' avendo riguardo al collegamento funzionale tra l'azione e la finalita' del gioco o dello sport».
Tribunale Roma sez. XIII, 25/09/2020, n.12921
«la tematica da trattare è quella della responsabilità sportiva e del risarcimento del danno, che sono stati più volte oggetto di analisi da parte della dottrina e della giurisprudenza. Per poter meglio comprendere tale concetti, occorre analizzare il concetto di "rischio sportivo". Questo concetto abbraccia sia gli atleti che gli organizzatori di manifestazioni sportive o allenatori o preparatori. Tutti i soggetti elencati, nello svolgimento delle loro attività in ambito sportivo, hanno obblighi derivanti sia dai regolamenti federali che dai canoni di prudenza ex art. 2043 c.c. Il richiamo alla norma di condotta prevista dal codice civile deve essere necessariamente analizzato contestualmente con l'atto di autonomia privata di accettazione del rischio derivante dall'esercizio della stessa nel rispetto delle regole tecniche sportive, con il quale i soggetti intraprendono una determinata attività sportiva. L'accettazione di tale rischio comporta uno spostamento della soglia di responsabilità ad esempio dell'atleta; l'art. 2050 c.c. specifica il concetto di attività pericolose ed attraverso una sua interpretazione è possibile quantificare l'eventuale responsabilità per atti illeciti commessi dagli sportivi.
Nell'ambito dell'articolo di cui sopra vengono annoverate determinate attività, per le quali anche la giurisprudenza ha ritenuto che si debba far riferimento ad una maggiore probabilità di danno in virtù dei mezzi adoperati nello svolgimento dell'attività sportiva stessa, quali ad esempio: automobilismo, ciclismo, motociclismo. Altra classificazione relativa alle attività sportive pericolosi, riguarda gli sport di contatto o violenti per i quali è necessario effettuare un distinguo tra condotta dolosa o colposa. Si ha condotta dolosa nel momento in cui si ha un avvenimento violento non contemplato nell'attività sportiva praticata. Si parla invece di condotta colposa nel momento in cui si ha una violazione palese di una regola di gioco ponendo in essere comportamenti violenti ma che comunque sono inquadrabili in un contesto agonistico di gioco. Per quel che riguarda la singola responsabilità dell'atleta, occorre sottolineare che nel caso di illecito, lo stesso ne risponderà sia dal punto di vista sportivo in base ai singoli regolamenti, che dal punto di vista dell'ordinamento statale qualora lo stesso ordinamento riconosca una particolare rilevanza della condotta lesiva. A tal proposito la giurisprudenza individua l'illecito sportivo quando l'attività sportiva viene ritenuta solo il mezzo per commettere volontariamente un danno nei confronti di un avversario. In base a tale considerazione giurisprudenziale, emerge il concetto di "rischio consentito" che si eleva a parametro di giudizio per la determinazione della condotta lesiva. In tal senso è evidente che chi pratica ad esempio lo sport del pugilato, dove la peculiarità della violenza è la caratteristica principale, il metro di paragone nella valutazione di un potenziale illecito si basa sulla normale diligenza tenuta dallo sportivo medio che agirà nel rispetto del regolamento e dei principi di lealtà e prudenza. Pertanto in questo caso il "pugile" risponderà a titolo di colpa solo quanto terrà comportamenti non coerenti ai regolamenti ed ai principi sopra enunciati.
Secondo la giurisprudenza sono illeciti rilevanti quei comportamenti che sono volontariamente contrari ai regolamenti e che individuano la disciplina sportiva come un pretesto per commettere un illecito o un danno all'avversario. Sintetizzando la condotta di un atleta potrà ritenersi lecita quando seguirà le regole di gioco definite dai regolamenti e contestualmente non superi il "rischio consentito".
Nel nostro ordinamento rispondono di responsabilità oggettiva soggetti diversi dall'atleta. Il gestore dell'impianto sportivo ad esempio, essendo colui che mette a disposizione, a soggetti terzi, gli spazi per lo svolgimento di attività sportiva, ha il compito di garantire la sicurezza delle persone nonché l'idoneità dei luoghi ed ha pertanto l'obbligo di controllare tutte le attrezzature e di adottare le misure di sicurezza utili per evitare eventuali danni.
La responsabilità di cui si discorre costituisce un'ipotesi di responsabilità oggettiva "che risponde all'intento legislativo di privilegiare il danneggiato sul danneggiante con il limite del caso fortuito"».
Tribunale Bari sez. III, 28/06/2016, n.3589
«l'evento si è verificato nel corso di una partita di calcio per le semifinali di giochi sportivi studenteschi e, quindi, durante un normale contrasto di gioco privo di comportamenti dannosi, peraltro, mai denunciati dall'attore, che possano essere considerati totalmente avulsi dalla dinamica dello sport praticato. Deve ravvisarsi, pertanto, nella fattispecie dedotta in giudizio il c.d. "rischio sportivo" che esclude l'antigiuridicità delle condotte lesive e, quindi, la responsabilità dell'insegnante e dell'Istituto Scolastico».
Cassazione civile sez. III, 30/03/2011, n.7247
«Questa Corte ha affermato che qualora siano derivate lesioni personali ad un partecipante all'attività sportiva a seguito di un fatto posto in essere da un altro partecipante, il criterio per individuare in quali ipotesi il comportamento che ha provocato il danno sia esente da responsabilità civile sta nello stretto collegamento funzionale tra gioco ed evento lesivo, collegamento che va escluso se l'atto sia stato compiuto allo scopo di ledere, ovvero con una violenza incompatibile con le caratteristiche concrete del gioco, con la conseguenza che sussiste in ogni caso la responsabilità dell'agente in ipotesi di atti compiuti allo specifico scopo di ledere, anche se gli stessi non integrino una violazione delle regole dell'attività svolta; la responsabilità non sussiste invece se le lesioni siano la conseguenza di un atto posto in essere senza la volontà di ledere e senza la violazione delle regole dell'attività, e non sussiste neppure se, pur in presenza di violazione delle regole proprie dell'attività sportiva specificamente svolta, l'atto sia a questa funzionalmente connesso.
In entrambi i casi, tuttavia il nesso funzionale con l'attività sportiva non è idoneo ad escludere la responsabilità tutte le volte che venga impiegato un grado di violenza o irruenza incompatibile con le caratteristiche dello sport praticato, ovvero col contesto ambientale nel quale l'attività sportiva si svolge in concreto, o con la qualità delle persone che vi partecipano (Cass. 08/08/2002, n. 12012; Cass. 22/10/2004, n. 20597)».
Cassazione civile sez. III, 27 ottobre 2005, n.20908
«l'attività agonistica implica l'accettazione del rischio ad essa inerente da parte di coloro che vi partecipano, intendendosi per tali non solo gli atleti in gara ma tutti quelli (come gli arbitri, i guardalinee, i guardaporte, i meccanici, i tecnici, ecc.) che sono posti al centro o ai limiti del campo di gara, per compiere una funzione indispensabile allo svolgimento della competizione, assicurandone il buon andamento, il rispetto delle regole, la correttezza dei comportamenti e la trasparenza dei risultati. Sicché, i danni da essi eventualmente sofferti ad opera di un competitore, rientranti nell'alea normale, ricadono sugli stessi ed è sufficiente che gli organizzatori, al fine di sottrarsi ad ogni responsabilità, abbiano predisposto le normali cautele atte a contenere il rischio nei limiti confacenti alla specifica attività sportiva, nel rispetto di eventuali regolamenti sportivi; accertamento affidato alla valutazione del giudice del merito, insindacabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivato».
Cassazione civile sez. III, 15/01/2003, n.482
«L'attività sportiva (a maggior ragione se agonistica) implica l'accettazione del rischio ad essa inerente da parte di coloro che vi partecipano, per cui i danni da essi eventualmente sofferti rientranti nell'alea normale ricadono sugli stessi, onde è sufficiente che gli organizzatori, al fine di sottrarsi ad ogni responsabilità, abbiano predisposto le normali cautele atte a contenere il rischio nei limiti confacenti alla specifica attività sportiva, nel rispetto di eventuali regolamenti sportivi (Cass. 20 febbraio 1997, n. 1564)».